Schifetto Carlofortino
Lo Schifetto appartiene alla generica categoria dei "Gozzi" estremamente diffusa in tutto il mediterraneo; a seconda delle località dove doveva operare e del tipo di attività che doveva svolgere, il gozzo assumeva caratteristiche diverse, varianti e denominazioni che lo distinguevano. Le sue origini si possono far risalire alla metà dell'ottocento ed il suo impiego si è avuto fino a poco prima della II guerra mondiale. Lo Schifetto era l'antica barca usata dai Carlofortini per la pesca alle aragoste con le nasse. Di dimensioni contenute, raramente superava i sei metri di lunghezza, nelle forme assomigliava molto al battello Carlofortino caratterizzato da un'asta di prua a dritta, quasi verticale come l'asta di poppa, dagli staminali aperti che gli conferiscono allo scafo una notevole larghezza, ma anche da linee molto eleganti e tondeggianti verso prua. Lo scafo è caratterizzato da un bolzone del ponte molto pronunciato. La costruzione iniziava dal corpo centrale fino ad arrivare ai così detti madieri "del dente" fissati alla chiglia in corrispondenza delle controruote di prua e di poppa. Ordinate, madieri e staminali venivano ricavate dai garbi che ogni cantiere conservava e ogni volta utilizzava, potendo variare leggermente le dimensioni dello scafo. Tutto ciò rappresentava l'eredità di famiglia. Tuttavia i primi garbi sono stati realizzati con il sistema del Trabucchetto ormai dimenticato. Il materiale impiegato a Carloforte per questi scafi era: il rovere per la chiglia, il pino d'aleppo per le ordinate e il pino marittimo della Corsica o della Toscana per il fasciame. Lo Schifetto era dotato di un vivaio interno per conservare le aragoste, e per il ricambio dell'acqua c'erano dei fori nelle tavole del fasciame, in corrispondenza del fasciame in corrispondenza del vivaio. Armato a vela latina con un albero fortemente inclinato a prua che con un paranco a tre vie solleva una lunga antenna cui viene inferita la vela maestra. La velatura è completa con un polaccone o fiocco issato in testa d'albero e fissato al bompresso su un anello scorrevole che lo rende più veloce e molto maneggevole. Degli Schifetti n'è sopravvissuto solo un esemplare "il Lina" che fu realizzato da Pasquale Biggio nel 1933 dove lo si può ammirare nel porto di Carloforte.