Origine del Leudo Ligure

I Leudi rimasti rappresentano un punto di arrivo dell’evoluzione di un tipo di imbarcazione intimamente connessa con la cultura del mare dei Liguri. L’origine dei Leudi infatti si perde nel tempo. A riguardo sono state vagliate due ipotesi principali. La prima avanzata da Pietro Berti, vede, come progenitore di questo tipo d’imbarcazione, la Cimba Bizantina. Un’altra ipotesi suggerisce una derivazione da una barca di struttura simile, di origine Catalana, chiamata “ Lau”. 
Il leudo nasce come un’imbarcazione a vela da lavoro, adibita fondamentalmente al trasporto di merci varie per i traffici del Mediterraneo e, talvolta, alla pesca. 
Caratteristica peculiare era quella di essere un’imbarcazione alturiera operativa a partire dalle spiagge e  perciò autosufficiente nell’alaggio. Questo perché, dall’antichità fino all’ottocento, la navigazione nel Mediterraneo poteva contare su un numero molto scarso di buoni porti, in quanto le piccole comunità marinare non avevano i mezzi necessari per costruire moli, frangiflutti che erano opere molto costose. 
Si sfruttavano gli approdi naturali, che però, anche in Liguria, a volte, mancavano del tutto. 
Lo scafo del leudo è realizzato in maniera da poter fare a meno dei porti in quanto può essere facilmente tirato in secca anche a pieno carico, oppure se ne può spingere la prua fino a pochi metri dalla riva, agevolando così il carico e lo scarico di merci e passeggeri, per cui sia la forma che le dimensioni dello scafo sono tarate in funzione di questa sua fondamentale qualità. 
Le caratteristiche generali del leudo si possono riassumere con una definizione “In sostanza si tratta di un legno tondo con estremità a cuneo, armato con una vela latina issata su un albero a calcese inclinato in avanti, ed un fiocco, detto Polaccone, che viene teso su un’asta posta a dritta della pernaccia, e che può essere rientrata in coperta”. 
Le dimensioni dei leudi variavano in base al modello e all’impiego al quale erano destinati dall’armatore e se ne possono distinguere varie categorie. 
Le principali sono: leudi da traffico e leudi da pesca. 
A loro volta queste due categorie si potevano suddividere a seconda del carico trasportato o della funzione svolta. 
I Leudi da traffico venivano definiti: Leudo Vesca d’altura (detto anche Gozzone), Leudo per la pesca locale, o latino (detto anche Gozzo da Manate). 
Il Leudo Vinacciere si distingueva dagli altri per via delle sue forme più piene e tondeggianti. Inoltre sul ponte, come sottocoperta, erano presenti botti fisse per il trasporto del vino con relative attrezzature (pompe, tini, manichette). La loro lunghezza era superiore a tutti gli altri tipi di Leudo ed arrivava mediamente tra i 14 e i 15 metri. 
La particolarità del Leudo Formaggiaio invece era rappresentata fondamentalmente dalla suddivisione degli spazi interni. Sottocoperta infatti erano presenti delle scaffalature dove venivano posate le forme di formaggio. Queste, in navigazione, richiedevano particolari cure in quanto dovevano essere continuamente unte d’olio allo scopo di evitare muffe e che il formaggio si asciugasse diminuendo così di peso. 
Il Leudo Zavorraio veniva utilizzato per il trasporto della sabbia (“Sura - Saurra”). Differiva dai precedenti in quanto presentava fianchi più svasati e una lunghezza leggermente inferiore (13/15 metri) caratteristica che rendeva l’imbarcazione snella ed elegante. 
Il Leudo Toscanello, piu’ snello dei precedenti, aveva una lunghezza che variava tra i 10 e i 12 metri. Il nome Toscanello deriva dal fatto che questo tipo di barca era impegnata sovente nelle campagne di pesca presso l’isola di Gorgona, in Toscana. 
Infine, il Leudo Latino è il piu’ piccolo della famiglia. Lo scafo non supera i 9 metri di lunghezza. La sua attrezzatura velica era estremamente semplificata. Rientra comunque nella classe dei leudi per l’identità delle linee e per la presenza degli scalmotti nell’ossatura e del ponte. 
Lo scafo del leudo è il risultato del difficile compromesso tra tre caratteristiche tra loro apparentemente contraddittorie: può essere tirato in spiaggia, ha una buona tenuta in mare e una notevole portata. 
Era cioè una vera piccola nave, in quanto, nonostante fosse costruito per essere tirato in secca, la forma del suo scafo consentiva anche di affrontare navigazioni d’altura. 
Poteva quindi navigare per tutto il Mar Tirreno, spingersi fino in Spagna o nel Mar Ionio. 
Inoltre, grazie alle forme molto simili a quelle di un gozzo, aveva una notevole capacità di carico, tra le 25 e le 30 tonnellate. 

Proprio a causa della sua funzione commerciale, era un’imbarcazione con forme proprie, ma piuttosto semplice: veniva realizzata con legno di pino, quercia e rovere e veniva pitturato con colori cosiddetti economici, come il minio e il bianco. 
La linea di galleggiamento veniva segnata con il colore verde e verdi erano anche i teli di copertura delle stive che venivano fissati con ferri assicurati dai lucchetti. 
Due caratteristiche fondamentali sono l’assenza della deriva e la presenza di un pronunciato bolzone che serviva sia ad aumentare la capacità di carico, sia a creare la bolla d’aria necessaria a mantenere stabile la barca ed evitarne il capovolgimento. 
La vita di bordo era molto dura soprattutto perché gli alloggi per l’equipaggio erano particolarmente spartani. 
Per cucinare si utilizzava un fornello a carbonella, chiamato “Gnafra”, che era, però, possibile  utilizzare solo con il bel tempo. 
La dispensa di bordo era tipicamente fornita da piccole scorte di stoccafisso, gallette, fagioli, patate, cipolle e l’immancabile basilico. 
Ricetta tipica della cucina di navigazione era quella del “Bagnùn” che veniva servito con gallette. 
*L’albero inclinato serviva sia di agevolare l’operazione del cambio delle mure nella virata di bordo che di allungare l’antenna per ottenere una superficie velica maggiore. 
Questo tipo d’imbarcazione veniva costruita senza un piano preciso di costruzione, ad occhio dai maestri d’ascia che firmavano con il loro tipo d’incastro. Non ci sono infatti disegni tecnici, se non rilievi moderni fatti in occasione dei restauri, che risultano essere materiale preziosissimo a scopo di studio. Uno dei cantieri più attivi era quello dei Figallo, a Lavagna, ad oggi perduto. 
Sulle rotte dei Leudi 
Le rotte commerciali dei leudi interessavano principalmente le coste tirreniche, le grandi isole, le nostre coste liguri e, a volte, anche la Grecia e la Spagna. Gli equipaggi compivano preferibilmente una navigazione sottocosta, anche se venivano affrontati tratti di mare aperto. I capitani di questi piccoli ma robusti velieri erano al tempo stesso mercanti e armatori e si trattava di attività a conduzione familiare. Normalmente l’equipaggio era composto da sei persone e non trasportava merci per conto di terzi, ma partiva con un carico di merci proprie che venivano commerciate direttamente nel punto di approdo. Al ritorno si caricava merce che potesse essere di interesse nel punto di arrivo. Gli spostamenti non avvenivano mai a vuoto, anzi, le imbarcazioni venivano stipate all’inverosimile, anche per una questione di ergonomia della navigazione, oltre che di economia della spedizione e non sono infrequenti le storie di eliminazione del carico per scampare al naufragio. Se capitava un trasporto, il guadagno veniva distribuito tra i membri della famiglia o destinato agli investimenti.  L’attività del commercio dei vini era tra le più antiche e caratteristiche. Infatti basta guardare una qualunque foto storica per distinguere le forme massicce delle imbarcazioni destinate a questo tipo di servizio. Le spedizioni si spingevano in ogni parte del Mediterraneo, dalla Francia fino alla Sicilia, ma nel 900 le località più frequentate erano le coste della Sardegna e dell’isola d’Elba. Quando l’imbarcazione giungeva a destinazione, i padroni ed i mediatori battevano le fattorie dell’isola in cerca di vino. Trovata la merce e contrattato il prezzo, il vino veniva trasportato a riva entro appositi otri di pelle di capra caricati sui muli. Dagli otri, il vino veniva travasato nelle baie e nei tini, che facevano da misura, quindi per mezzo di manichette e pompe veniva travasato nelle botti fisse di bordo. 
Al ritorno, prima di tirare il leudo in secca, si scaricavano le botti di coperta, in modo che il loro peso, unito agli inevitabili scossoni dell’alaggio, non danneggiasse l’impavesata. La botte veniva legata ad una cima detta “và e vieni”, che aveva un capo a bordo e uno a terra. Sollevata di peso dagli uomini dell’equipaggio, la botte era gettata in mare e recuperata velocemente dagli uomini sulla battigia. Questi ultimi passavano poi la botte ad altri uomini, che, per mezzo di un cavo detto “Lentìa”, la facevano rotolare lungo la spiaggia. 
Compiuta questa operazione, il leudo veniva alato sulla spiaggia. L’operazione di tiro era compiuta da parecchie persone, solitamente partecipava tutta la comunità, che potevano venire retribuite in moneta o in natura. Dopo iniziava la vendita delle merci di bordo sulla spiaggia per trattativa diretta. 
La principale meta dei Leudi Formaggiai era la Sardegna da dove si importava soprattutto il pecorino salato. Come i padroni dei Vinacceri, i formaggiai si recavano nelle diverse fattorie per acquistare i prodotti, oppure si servivano di mediatori conosciuti che si curavano di preparare i carichi per il loro arrivo. 
L’uso dei leudi cessò nel secondo dopoguerra, con l’avvento della rete stradale ligure e a causa della concorrenza di navi più veloci che resero il mezzo desueto. 
Il maggior centro di caricamento della sabbia, nella riviera di levante, si trovava alla foce del fiume Magra dove si poteva operare tutto l’anno. Essendo le spiagge di proprietà demaniale, per asportare la sabbia occorreva un permesso speciale, difficile però da ottenere, per cui spesso si operava di frodo. 
Il Suraire per effettuare il carico, non veniva messo in secca, ma arenato con la prua nella battigia. Un’ancora, affondata precedentemente da poppa, serviva a spostare il leudo verso il mare aperto mentre il carico lo appesantiva, causando l’abbassamento della linea di galleggiamento. 
Le operazioni di carico e scarico avvenivano sistemando tra il basto di prora e la spiaggia una lunga tavola percorsa di continuo dagli uomini dell’equipaggio che portavano pesanti coffe di 50/60 kg di peso. 

                                                                                                                                                  - Dr. Alessandra Spagnolo -

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