Carloforte e i suoi Battelli

 

Presentazione

 

Nel presentare le altre opere di questa collana e cioè quelle sui leudi, sui gozzi e sui pinchi, ho citato un motto del F.A.I. (Fondo Italiano per l’Ambiente) che suona: “si difende ciò che si ama e si ama ciò che si conosce”. Ritengo che valga la pena di ricordarlo ancora una volta perché sottolinea l’importanza dell’azione di divulgazione: sono convinto che, prima di tutto, bisogna “conoscere” il proprio patrimonio e solo allora lo si può  “amare” e quindi “difendere”.  Il testo vuole ricordare la “Liguria altrove” e cioè le tante comunità che sono sparpagliate per il mondo, figlie della storia marittima e mercantile di Genova.

La narrazione parte delle origini di Carloforte, un’avventura che si è dipanata tra Pegli e le coste dell’Africa ai tempi di Andrea Doria. L’elenco dei luoghi che è necessario citare per ripercorrerla comprende Pegli, la comunità costiera da cui sono “salpati”  i Carlofortini e poi uno scoglio africano, che li accolse per più di duecento anni. Essi amano riconoscersi nell’appellativo di Tabarchini, facendo riferimento all’isoletta di Tabarca dove, a partire dal 1541, è iniziata la loro vicenda. Qui la comunità dei Tabarchini, nata intorno alla pesca del corallo, per due secoli rappresentò un importante luogo di scambio di merci e di idee, ma nel 1741, dopo la cattura del paese da parte del Bey di Tunisi, iniziò per molti suoi abitanti un periodo di schiavitù. Fortunatamente già nel 1738  i Tabarchini avevano fondato una nuova comunità sull’isola di S. Pietro: Carloforte.

Oggi, per chi sbarca nel suo porto, il primo indicatore della storia del luogo è la parlata che si sente risuonare in banchina: qui infatti tutti parlano un genovese antico. Nel 1955 Giovanni Ansaldo, appena sceso dal traghetto, sentì parlare questo dialetto che è:  ”soltanto un po’ più strascicato e lento di come lo dovevano parlare gli antichi, e qua e là corroso appena dalle lunghe frequentazioni barbaresche, spagnolesche, sarde; ma nel complesso straordinariamente conservato, a meraviglia e istruzione di tutti i glottologi del mondo”.  Per chi ama rileggere le pagine di un grande giornalista e scrittore, al testo è stato allegato l’articolo che Ansaldo  scrisse allora per l’Illustrazione Italiana.

Oltre al paese di  Calasetta, che si trova  sull’isola di Sant’Antioco di fronte a Carloforte e che accolse anch’esso una parte dei profughi, l’epopea dei Tabarchini comprende un'ultima isoletta, quella di San Pablo, al largo delle coste spagnole. Qui si stabilirono i Tabarchini che nel 1768 furono riscattati dalla schiavitù dal re di Spagna e che fondarono un’altra comunità, battezzata Nueva Tabarca.

La seconda parte del testo è dedicata a quanto accadde a Carloforte a metà dell’Ottocento, quando la principale attività marittima del paese divenne il trasporto del minerale dalle coste della Sardegna fino al porto di Carloforte . Visto che il minerale veniva chiamato Galena, o Galanza, chi lo trasportava fu chiamato Galanziere . Era un’attività di cabotaggio del tutto particolare, che si svolgeva al servizio diretto delle miniere e che vedeva l’utilizzo di dei velieri particolari, i battelli   ,come se questi fossero dei vagoncini da minerale, a cui era dato di attraversare il mare.

L’attività dei Galanzieri, che si trovavano a svolgere un’estenuante lavoro da marinai e, insieme, da minatori, ha lasciato tracce nel tessuto sociale e culturale dei Carlofortini e, alla fine dell’Ottocento, li ha posti all’avanguardia del movimento  sindacale della Sardegna che proprio in quegli anni andava organizzandosi.

Oggi la memoria dei battelli di Carloforte  non è del tutto scomparsa: se la loro attività di trasporto si è conclusa da più di mezzo secolo, quattro di questi velieri sono stati restaurati e navigano ancora.

                                                                                                                                 - Giovanni Panella -

 

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